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07 Dic 11:00 am

Osteopata o stregone?

Al giorno d'oggi la grande confusione di mezzi espressivi tecnici nel campo della riabilitazione e dell'osteopatia sta rendendo inevitabilmente sempre più difficile comprendere ciò che serve e ciò che non serve ai fini terapeutici. Quella di oggi sembra una rincorsa alla perfezione sia esteriore che interiore,che trova espressione solo in se stessa senza avere poi una reale applicazione pratica. Nel campo della salute,soprattutto nel nostro,sembra esserci una continua ricerca alla tecnica più innovativa,alla intuizione più geniale,allo stile più affascinante,all'approccio più nebulosamente magico che lascia ben poco chiare le modalità di risoluzione dei problemi del paziente.
Le persone vengono da noi convinte che ogni problema possa essere risolto, che comunque c'è sempre qualche metodo, qualche tecnica che possa far loro raggiungere il benessere.La realtà è ben diversa!
E' da li che  nascono a mio parere varie teorie strampalate che giustificano trattamenti e tecniche a volte rasenti il ridicolo,per soddisfare il bisogno esteriore di risolvere il problema al paziente senza curarsi della vera natura dei disturbi che lo hanno spinto da noi....Io mi domando ."quanto di tutto questo è scientificamente verificabile?Siamo sicuri che spostare di tre millimetri un dito o sintonizzarsi su un'intenzione possa realmente modificare l'atto terapeutico(escluso ovviamente l'effetto placebo?)" . E soprattutto : facciamo del bene ai nostri pazienti?Io credo che sia fondamentale invece riscoprire il proprio territorio di competenza riducendo il delirio di onnipotenza che caratterizza l'approccio di taluni operatori in preda a se stessi.Sono arrivate a mescolarsi tecniche e metodiche delle più disparate, alcune geniali, altre che ricalcano la più classica delle rieducazioni fisioterapiche, ma usando nomi più eterei, altre che sembrano atti di stregoneria. Ecco perché mi sembra utile ridefìnire, rivalorizzare l'intervento classico dopo che, negli ultimi anni,si sono affinate le metodiche e sfumate le incompatibilità tecniche; l'esperienza terapeutica vissuta sul campo ha ribadito a me stesso, se mai ce ne fosse stato il bisogno, l'interdisciplinarietà professionale come strada realmente efficace alla soluzione dei disturbi.Il filo conduttore non dovrà essere lo spirito teorico della metodica, ma l'attenta valutazione del riscontro che l'operatore ha dal paziente durante l'atto rieducativo. Solo da questo presupposto di "ascolto" di ciò che il terapista sente e vede,si può partire per dotare l'intervento terapeutico dei mezzi(metodiche e tecnologie)necessari alla soluzione del problema,nel rispetto delle esperienze e della dignità professionale di ognuno.

Ultima modifica il Lunedì, 26 Maggio 2014 10:27
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fisioterapista (sui generis)

  • Mi chiamo Pietro Bennardo, sono nato nel 1978 a Roma. Maturità scientifica nel 1997. Nel 2000 mi sono diplomato in fisioterapia col massimo dei voti. Mi sono specializzato in shiatsu (metodo namikoshi) diplomandomi nel 2002 col dott. Palombini. Poi ho intrapreso il percorso formativo in osteopatia diplomandomi nel 2008. Da anni esercito la professione di fisioterapista con contaminazioni osteopatiche, per…

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